La flourescenza non è bioluminescenza. Quest’ultima è prodotto dall’animale o dalla pianta stessa, e, chi si è immerso di notte, ha notato questa particolarità; la prima è il processo elettromagnetico di riflessione di una data lunghezza d’onda quando il soggetto è colpito da una ben precisa lunghezza d’onda. L’esempio più chiaro sono i giochi di colorati che si ottengono con colori fluorescenti colpiti dalla famosa luce nera, l’ultravioletto. Lo si vede spesso nello discoteche.
In immersione l’ultravioletto è stato usato per molto tempo senza dare grandi soddisfazioni. Si è scoperto da poco che la luce della lunghezza giusta per eccitare e rendere visibile la fluorescenza nella vita sottomarina è il blu. Il dottor Charles Mazel ha iniziato la ricerca di fluorescenza sott’acqua nel ’70. Per un progetto piuttosto insolito per la Marina americana ha studiato la possibilità di vedere sott’acqua di notte senza essere visti dalla superficie. All’inizio usava torce UV che non producevano l’effetto contrario (illuminavano la materia organica disciolta nell’acqua), poi ha scoperto che la luce blu, con lunghezze d’onda tra 450-470 nm, fosse molto meglio, circa quattro volte più efficace nello stimolare la fluorescenza. Così sott’acqua la vita marina ha l’abilità di convertire il proprio colore in uno completamente differente e perché lo faccia è ancora sconosciuto alla scienza.
E’ nata così la specialità del fluo diving o glow diving che alcuni resort mettono a disposizione dei propri ospiti. Il meglio è ovviamente la fascia tropicale o i mari con acque calde come Caraibi, Mar Rosso, Oriente in particolare Indonesia, Filippine, Australia. Non vi è la necessità di grandi profondità, la quota è quella in cui vivono i coralli e la pletora di animali collegati.Di solito un’immersione è fatta da pochi componenti di un gruppo, equipaggiati di illuminatori a luce blu e maschere con filtro giallo, attrezzatura in grado di poter osservare qualcosa che altrimenti non si potrebbe vedere come coralli fluorescenti, animali ed altre creature marine. E’ una sorta di magia invisibile a occhio nudo.
Questa meraviglia della natura si basa sulla proprietà che hanno alcuni organismi marini di emettere radiazioni con lunghezze d’onda nel campo della luce visibile quando vengono illuminati con una luce di lunghezza d’onda breve. Il termine “emissione” è molto importante per comprendere il fenomeno fisico della biofluorescenza.
L’emissione di luce è infatti diversa dalla normale riflessione che si verifica quando, ad esempio, si illuminano i fondali in una immersione notturna: in questo caso è la luce bianca della nostra torcia che viene riflessa dal fondale o dall’organismo marino verso i nostri occhi. Nel caso dell’emissione di luce invece è l’organismo stesso che crea ed emette luce verso di noi. Il processo è simile alla bioluminescenza in quanto è l’organismo che genera luce propria, tuttavia, nella bioluminescenza la luce è generata da una reazione chimica e non richiede una luce di “eccitazione” come invece avviene nella biofluorescenza. Per visualizzare la biofluorescenza infatti occorre equipaggiarsi di torce a luce blu (con una lunghezza d’onda compresa tra i 450 e i 480 nanometri) e di filtri ottici gialli per la maschera.
La funzione del filtro giallo è di costituire una barriera che blocchi la luce blu riflessa verso l’osservatore dagli organismi su cui la luce è diretta. Senza il filtro barriera si ha una luce blu riflessa intensa che sovrasta in parte la fluorescenza, cosa che non avviene utilizzando il filtro giallo, progettato per tagliare tutte o la maggior parte delle lunghezze d’onda nella parte blu dello spettro. L’intensità della luce fluorescente emessa dagli organismi è molto debole così, se si blocca il blu, si vedranno solamente i colori di emissione.
La fluorescenza può essere anche eccitata con l’utilizzo di raggi ultravioletti perché la luce UV è nel campo di lunghezze d’onda inferiore ai 400 nm ed essendo invisibile ha il vantaggio di non richiedere filtri aggiuntivi. I ricercatori però hanno scoperto che la luce blu è più efficace nello stimolare la proteina fluorescente verde (GFP – Green Fluorescent Protein) e tutte le sue mutazioni che emettono colori diversi dal verde.
La luce blu è probabilmente più efficace perché (come tutti sappiamo dal nostro primo corso subacqueo) è l’unica luce disponibile in profondità, il che significa anche che è questa la luce più abbondante in cui gli organismi primordiali come il corallo. Invece la maggior parte della luce UV proveniente dal sole rimbalza sulla superficie dell’acqua, la poca luce UV che penetra si limita a farlo per pochi centimetri, rendendo così la luce UV una sorgente luminosa poco efficiente per le immersioni in fluorescenza. Non tutti gli organismi marini mostrano effetti di emissione luminosa fluorescente e sono certamente più presenti nei mari tropicali, tuttavia in questi casi si assiste ad una visione decisamente affascinante e per molti versi inedita.